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Jim Morrison Oggi: Il Poeta Perduto nella Modernità

26.02.2025

Jim Morrison Oggi: Viaggio nel Cuore di Parigi

Parigi, primavera 2024. Jim Morrison cammina lento, con il passo di chi ha visto il tempo disfarsi tra le dita. Il Quartiere Latino lo accoglie con la sua miscela densa di passato e presente, un mosaico di voci, odori, presenze effimere. Il cappotto lungo avvolge il corpo esile, la barba bianca e disordinata incornicia il volto scavato dagli anni. Gli occhi, accesi da un fuoco ribelle mai domato, scrutano la città con la stessa inquietudine di un tempo. Nessuno lo riconosce. Nessuno lo guarda. E questo gli va bene.

La primavera a Parigi ha un odore che non dimentichi. L'aria sa di pioggia recente, di fiori sbocciati sui balconi e di caffè appena tostato che esce dai bistrot storici. Il vento leggero sfiora la Senna, portando con sé il mormorio dell'acqua che scorre lenta, riflettendo le luci tremolanti dei lampioni come un dipinto impressionista. Più tardi, quando la notte avanzerà, i suoni si faranno più ovattati: il ticchettio di passi solitari sulla ghiaia dei giardini, lo scricchiolio delle persiane socchiuse, il fruscio delle foglie spinte dalla brezza lungo le strade vuote. L'odore del tabacco e del vino rosso versato sui tavolini di ferro battuto si mescolerà all'umido sentore della pietra antica, impregnando l'aria di una malinconia quasi palpabile.

Jim si ferma davanti alla vetrina di una boutique chiusa. Il vetro riflette l'immagine di un uomo che a tratti gli sembra uno sconosciuto. Un viso segnato dal tempo, le rughe intorno agli occhi che raccontano storie che nessuno vuole più ascoltare. Solleva la mano e la passa sulla barba, sentendo sotto i polpastrelli il ruvido intreccio dei peli bianchi. Sente una fitta alle ginocchia, una stanchezza che non aveva mai provato negli anni della giovinezza. Per un attimo, torna a essere il giovane poeta che scivolava nel fiume della notte parigina, tra artisti e filosofi, bevendo vino scadente e recitando versi improvvisati sotto le luci soffuse della città.

Un gruppo di giovani passa accanto a lui, ridendo, con gli occhi incollati agli schermi dei loro smartphone. Non lo vedono. Forse è meglio così. Un tempo sarebbe stato riconosciuto ovunque, fermato per strada da sconosciuti che volevano un pezzo della sua anima, una parola, un gesto. Ora è solo un'ombra, un uomo qualsiasi in una città che non gli appartiene più.

Lentamente riprende a camminare. Passa accanto a un caffè dove una coppia di studenti discute animatamente, gesticolando. La scena lo colpisce. Un tempo, al tavolo di un bistrot simile, aveva discusso per ore con intellettuali e poeti, parlando di rivoluzioni culturali e dell'immortalità della poesia. Era davvero tutto così diverso? O era lui ad essere cambiato?



Il sole inizia a tramontare, tingendo il cielo di sfumature arancioni e viola. Le ombre si allungano sulle strade acciottolate e l'aria si fa più fresca. Jim si stringe nel cappotto, mentre osserva un musicista di strada seduto su uno sgabello di legno. Un giovane con i capelli lunghi e disordinati, che suona la chitarra con un'intensità quasi familiare. Le dita scorrono sulle corde con un'energia viscerale, la voce roca si perde tra il brusio del traffico. Jim si ferma a osservarlo, ipnotizzato. Per un attimo, sente il richiamo della musica, il desiderio di unirsi a quella melodia improvvisata. Con un gesto istintivo, infila una mano nella tasca e tira fuori qualche moneta, lasciandola cadere nella custodia aperta ai suoi piedi. Il musicista alza lo sguardo, lo ringrazia con un sorriso stanco. "Suonavo i Doors da ragazzo," dice, senza aspettarsi una risposta. Jim lo osserva per un lungo istante, poi annuisce, lasciandolo con un mezzo sorriso enigmatico.

Poco più avanti, una vecchia libreria cattura la sua attenzione. L'insegna è scolorita, le vetrine polverose, eppure c'è qualcosa di magnetico in quel luogo. Entra con passo incerto. L'odore dei libri antichi lo avvolge immediatamente, un misto di carta ingiallita e inchiostro sbiadito. Un libraio anziano lo osserva da dietro il bancone. "Cercate qualcosa di speciale?" chiede con voce profonda. Jim esita, poi scuote la testa. "Forse qualcosa che ho perso da tempo." Il libraio lo studia per un istante più lungo del necessario. "A volte i libri ritrovano i loro lettori quando è il momento giusto."

Jim sfiora le copertine dei volumi, lasciando che le dita scorrano sulle parole incise. Poi si ferma. Un libro, nascosto tra altri, attira la sua attenzione. Lo estrae lentamente: è una raccolta di poesie di Rimbaud. Lo apre a caso, gli occhi scivolano sulle parole, e un ricordo si accende nella sua mente. Era a Parigi, tanti anni prima. Una notte d'estate, seduto su un marciapiede con una bottiglia mezza vuota e una ragazza accanto a lui. Ridevano, leggevano versi senza paura del futuro. La sua voce risuonava ferma e sicura, piena di vita. Ora, mentre scorre quelle stesse parole, sente il peso degli anni scivolare su di lui.

All'improvviso, il desiderio di scrivere lo colpisce con forza. Non era più solo un ricordo, ma una necessità. Fruga nelle tasche, estraendo un vecchio taccuino spiegazzato. Con la punta smussata di una matita, inizia a scrivere alcuni versi, quasi senza pensare. Le parole fluiscono, incerte all'inizio, poi più decise, come se non avessero mai smesso di esistere dentro di lui.

Si lascia cadere su una poltrona consunta nell'angolo della libreria, immerso in una penombra soffusa. Il libraio continua a osservarlo. Jim sente il peso della solitudine, ma anche la libertà che ne deriva. Un biglietto, dimenticato tra le pagine, cade a terra. Lo raccoglie: poche parole scritte a mano, una calligrafia elegante e familiare.

"Non esiste fuga, solo ritorno. - P."

P. Pamela? No, non poteva essere. Ma quel pensiero lo colpisce come un pugno nello stomaco. Chi l'aveva lasciato lì? Una coincidenza, un segno, o soltanto un'illusione della mente stanca? Stringe il biglietto tra le dita, e per un attimo sente il peso di tutti quegli anni vissuti ai margini. Forse, dopotutto, il suo tempo non è finito. Forse doveva smettere di fuggire.

All'uscita della libreria, si accorge di un uomo che lo osserva dall'ombra di un portico. Un volto noto, qualcosa di sepolto nel passato. Ha un cappello calato sugli occhi, una postura familiare, come se aspettasse. Per un attimo, Jim sente il battito accelerare. Sta davvero vedendo un fantasma del suo passato o è solo la città che gli gioca un altro scherzo? Senza pensarci troppo, stringe il biglietto nel pugno e fa un passo avanti.

L'aria attorno a lui sembra farsi più densa, il brusio lontano del traffico si dissolve come se il mondo si fosse improvvisamente sospeso in un'attesa silenziosa. L'uomo, ancora immobile, solleva appena il capo. Un'ombra gli copre metà del viso, ma Jim distingue la linea del mento, il taglio delle labbra. Un dettaglio sfocato nella sua memoria, qualcosa di lasciato indietro tanto tempo fa.

Si avvicina con cautela, sentendo il selciato freddo sotto le suole consunte delle scarpe. "Sei tu?" chiede, la voce appena udibile, soffocata da un misto di dubbio e speranza. L'uomo inclina la testa, un gesto impercettibile, e un sorriso sghembo gli increspa le labbra. "Pensavo che non mi avresti mai più trovato."

Jim trattiene il respiro. Il tono di quella voce lo investe con la forza di una marea. Immagini spezzate gli si accavallano nella mente: una stanza piena di fumo, risate sussurrate tra bicchieri di whisky, la musica lontana di un vecchio pianoforte scordato. Riconosce l'uomo, ma il nome gli resta bloccato sulla lingua. È una memoria che ha evitato per troppo tempo.

"Non ero io a dover cercare," replica infine, la sua espressione che si fa più chiusa, quasi difensiva. L'uomo ride piano, un suono che sembra venire da un'epoca diversa. "Eppure sei qui. Parigi non lascia mai andare davvero nessuno, non è vero?"

Jim osserva le sue mani, le nocche ancora strette attorno al biglietto. Pamela. No, non può essere. Ma allora perché quel richiamo così chiaro, così preciso? L'uomo fa un passo avanti, e per un istante la luce dei lampioni gli illumina il viso. Jim sente un brivido percorrergli la schiena.

"Devi venire con me," dice l'uomo, la voce ora più bassa, più grave. "Ci sono ancora cose che devi sapere."

Jim esita. Per anni ha evitato legami, ha vissuto come un fantasma, lasciando che il tempo cancellasse le tracce di chi era stato. Eppure, qualcosa dentro di lui si muove, un fuoco spento da troppo tempo che riprende a crepitare tra le ceneri.

Guarda l'uomo negli occhi, poi, senza distogliere lo sguardo, fa un altro passo avanti. "Dove?"

L'altro sorride appena, poi si volta e inizia a camminare. Jim lo segue, mentre Parigi continua a sussurrare storie mai raccontate tra le ombre della notte.


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